Roberta Racis, la danzatrice senza limiti
Lunga chioma nera, voce travolgente e un'energia empatica: incontrare Roberta Racis è stata una delle migliori esperienze del Festival City of Women, a Lubiana. Ballerina del Balletto di Roma, Roberta ha già preso parte a numerose collaborazioni e progetti come danzatrice e coreografa, tra cui Borders per il Novara Jazz Festival e Performing Gender Dance Makes Differences, un progetto lungo due anni la cui prima tappa è stata proprio Lubiana.
Abbiamo parlato di danza dentro e fuori il teatro, di sessualità, figure femminili, e di cosa vuol dire ballare e coreografare nel 2017 partendo dal suo interesse per la spirale, un movimento tanto simbolico quanto elegante, il punto di partenza per l'ideazione del pezzo per 10 danzatori che creerà per Performing Gender.
Roberta è sprizzante, curiosa, forte e simpaticissima per cui abbiamo deciso di dare piena parola a lei in questa intervista apparentemente solitaria: le nostre domande sono state nascoste, la sua voce invece si rivolge direttamente a voi.
"Credo fermamente nella danza e nella performing art in genere come veicolo di esplorazione della sessualità e delle questioni di genere in generale. La danza, come qualsiasi riflessione su queste tematiche, ha per me come assioma il corpo ed è dal corpo che la mia indagine, anche nell’ambito di Performing Gender, parte e si sviluppa, intendendo il corpo come un archivio esperienziale, come un veicolo di libertà e bellezza fortemente empatico poiché l’esperienza del corpo, della corporalità, del movimento e del desiderio, della fatica sono riconducibili a tutti.
Nel corso della prima tappa di Perfoming Gender a Lubiana, ho iniziato ad esplorare alcuni concetti a me cari. L’uso della spirale e dell’off balance, del momentum nella pratica del movimento, sono temi ricorrenti nella mia ricerca poiché sono ascrivibili nel mio percorso alla costruzione di un corpo performativo cangiante, un connubio tra forza muscolare e fragilità intesa come presa di rischio che trovo estremamente poetica e capace di creare una connessione con chi ci guarda.
In tal senso il mio approccio all’interno del progetto parte e si sviluppa intorno al movimento, ricerco un movimento che ponga al centro il corpo e il suo potenziale dinamico che nel mio immaginario diventa la modalità di comunicazione tra i corpi prescindendo il genere. L’uso della spirale nella ripetizione è una delle vie che sto sperimentando e che nelle tappe successive del progetto vorrei portare avanti; richiama nel mio immaginario concetti quali il cambiamento, la stagionalità, il ritorno, la bellezza, la trasformazione, la trasfigurazione, la velocità.
Una ricerca personale sulla propria sessualità è imprescindibile, e non solo per danzare e fare coreografia, è qualcosa che primariamente riconnetto al proprio benessere, alla propria auto-consapevolezza e al proprio piacere. Nella danza e nella coreografia ricerco il piacere, ed il piacere sessuale è una delle declinazioni dell’esperienza del piacere e del godimento, è un modo per conoscersi, per prendere consapevolezza di sè ed entrare in connessione con gli altri e con se stessi, con quel poco di atavico che ci resta e che ritengo non vada messo a tacere e ignorato. Nella danza non amo l’uso della sessualità come mera provocazione, trovo la provocazione per la provocazione anacronistica e masturbatoria, non crea connessione, per lo meno non per me. La consapevolezza sul tema è qualcosa che crea libertà e consapevolezza nel performer, può rendere potenti, capaci di autodeterminarsi e di non essere oggettificati.
In Italia sono molti i coreografi di cui stimo il lavoro e la ricerca. Sono una spettatrice onnivora. Francesca Pennini e il suo Collettivo Cinetico portano avanti da anni un lavoro poetico e preciso, pungente come una spada, Cristina Rizzo è un esempio di danza virtuosa, cristallina e politica, Alessandro Sciarroni e la magia preziosa e delicata di ogni suo lavoro. Ma ho tanti altri nomi di persone e compagnie di cui stimo il lavoro e la ricerca: Silvia Gribaudi , i Motus , Francesca Foscarini, Andrea Costanzo Martini, Daniele Ninarello, Giorgia Nardin, Enzo Cosimi.
La danza classica è il mio training giornaliero nella compagnia con cui lavoro, è un esercizio di disciplina, dedizione, umiltà, perseveranza, tutti elementi che ritengo imprescindibili per un danzatore/performer. Porta con sè dei valori preziosi: la bellezza, l’attenzione, una lettura non utilitaristica della danza nella quale vedo la sua rilevanza sociale e attiva nei giorni nostri. Allo spettatore viene richiesto per un’ora e mezza/due ore di sedersi in teatro, spegnere il telefono, fermarsi e guardare, non necessariamente capire. Trovo ottusi coloro che ritengono che la danza sia un qualcosa che vada necessariamente capito in modo pedissequo, è un’ambizione consumistica, riduce la danza a un bene di consumo, nulla di più lontano dalla sua natura intrinseca. Nel contemplare un paesaggio o un quadro in una galleria d’arte non ci si interroga sui motivi profondi che talvolta smuovono la nostra interiorità e generano gioia, catarsi, commozione, divertimento, cambiamento. La danza si guarda, la danza si ascolta ed il processo di empatia che si può instaurare può passare attraverso molteplici canali: il virtuosismo e la bellezza sono due delle possibili vie, non escludono la capacità del corpo danzante di essere pensante e politico.
Mi piace citare a tal proposito il filosofo Paul Valery per il quale «la danza è una poesia generale dell’azione degli esseri viventi: isola e sviluppa i caratteri di questa azione, li distacca, li dispiega e fa del corpo che in quel momento possiede, un oggetto atto alle trasformazioni, alla successione degli aspetti, alla ricerca dei limiti delle potenze istantanee dell’essere».
A dare attualità a un repertorio sono a mio avviso gli interpreti e la loro auto-consapevolezza di esseri umani nel tempo presente ed è su questo che è importante lavorare, in caso contrario si diventa autoreferenziali e anacronistici. Figure femminili di culto? Per quanto riguarda il mondo della danza direi Trisha Brown, Maguy Marin, Marie Chouinard, Dana Michel, Sharon Eyal, Anne Van Den Broek. Per il resto la mia iconografia di riferimento è molto ricca e variegata: i testi di Goliarda Sapienza, Patrizia Valduga, Dacia Maraini mi hanno accompagnato da quando ero adolescente così come la voce e la musica di Nico dei Velvet Underground e di Kim Gordon dei Sonic Youth."
Roberta Racis