Se volete giovani lavoratori in Italia, cambiate il vostro atteggiamento di merda
Un colloquio di 30 minuti. Che sarà mai? Eppure un colloquio può essere un'esperienza spiacevole oltre che avere la capacità di rappresentare la dinamica di potere presente nel nostro Paese. Partiamo dall'inizio.
Pochi giorni fa ho fatto domanda ad una posizione di lavoro come Assistente Curatoriale in un famoso centro di ricerca di comunicazione basato in provincia di Treviso. La descrizione della posizione è piuttosto vaga, non specifica le mansioni, la durata del lavoro (rivela solo indicativamente 4-6 mesi), nessuna descrizione sul progetto su cui si dovrà lavorare. Un breve elenco indica chi sarebbe un buon candidato: qualcuno con una laurea relativa all'arte, età minore di 30 anni ed esperienza nella cura di mostre e progetti culturali. Ho una laurea triennale e un master in Storia dell'Arte e buona esperienza nel settore curatoriale, avendo aiutato nel passato un famoso Direttore di Galleria nell'allestimento delle sue mostre d'arte.
Mi viene chiesto di fare un colloquio introduttivo con il Direttore Artistico. Emozionata, mi preparo per dimostrare loro la mia passione per l'arte contemporanea e la mia voglia di imparare. D'altronde quelle sono le due cose fondamentali che cercheranno in un candidato, giusto? SBAGLIATO. Ci incontriamo via Skype alle 11 di mattina.
Atto primo: il voto di maturità
Il Direttore Paolo (nome di fantasia) è accompagnato dal suo assistente che, per la maggior parte del colloquio, rimane in silenzio. Paolo mi chiede la mia storia dalle scuole medie in poi e scopriamo di provenire dalla stessa città. Un punto a mio vantaggio? Niente affatto. Con fare molto interessato, mi è stato chiesto il nome dell'istituto dove ho fatto il liceo, il mio voto di laurea (fascia 80-90) e (con una risatina) il perché non ho preso il massimo. Confesso che "l'esperienza del liceo non mi é piaciuta per il modo di educare nei licei italiani e, infatti, ho scelto di continuare gli studi all'estero". Questo a Paolo non è piaciuto affatto e, scaldandosi, risponde: "signorina, insomma questo non lo può dire, sul momento lei non sapeva che c'era un modo diverso di insegnare, no insomma non voglio fare la paternale quì ma questo non si può proprio dire eh, un consiglio per il futuro". Già nei primi 5 minuti del colloquio si instaurano dei rapporti chiari: chi ha ragione e chi ha torto. Chiaramente ho toccato un punto debole, ovvero il sistema italiano e la cara città che abbiamo in comune. Non sia mai che ci sia qualcosa di migliore della cara e vecchia Italia. Serenamente e cortesemente, ignoro e non rispondo.
"Quanti anni ha?" la domanda che ai datori di lavoro in Italia piace fare. "26". "Ah, sei piccolina". Piccolina rispetto a cosa?! La descrizione della posizione richiedeva qualcuno al di sotto dei 30 anni con esperienza nel settore. Chiaramente a Paolo fa piacere sminuire la mia esperienza lavorativa fatta tra i 22 e 26 come per ricordarmi che nonostante l'esperienza, devo ricordarmi che sono una bambina (e quindi un giovane è qualcuno nei suoi 30 anni?) Interessante come da questo punto in poi, il "lei" formale utilizzato nei colloqui viene sostituito da un più diretto "tu". Abbiamo raggiunto un chiaro ed inequivocabile rapporto di potere in cui mi viene fatto capire, in ogni parola e gesto, chi comanda.
Atto secondo: sei capace o no?
L'interesse è scemato mentre descrivevo il mio percorso universitario svolto a Londra in storia dell'arte. La mia breve descrizione sulla mia ricerca magistrale è stata tagliata corta: "va bene ma passando alle cose più semplici, d'altronde io non sono un'esperto d'arte, tu sapresti convincere degli artisti a partecipare al tuo progetto?". Prima di poter rispondere però preferisce chiarire la domanda: "cioè, sei capace o no? Voglio capire se sei un'esecutrice o no". Mi spiega come il mondo è diviso tra coloro che eseguono gli ordini e chi da gli ordini. Riferendosi alla mia esperienza come assistente di un direttore di una galleria d'arte londinese, mi fa sapere che quello che facevo, è fondamentalmente una "cazzata". Presente il Diavolo Veste Prada? Perfetto, io ero Anne Hathaway nel mondo dell'arte. Non piacevole e sicuramente non una "cazzata". "Cioè, sono capaci tutti a gestire degli artisti già rappresentati da una galleria, insomma quella è una cazzata, davvero una cazzata. Quindi quello che voglio capire ora è se sei un'esecutrice o no." L'argomentazione che esiste dall'alba dei secoli: esistono due tipi si lavoro, quello superiore di chi crea e dirige (un tipo si lavoro associato all'uomo) e quello inferiore di chi esegue gli ordini e mantiene ciò che è stato creato (il lavoro femminile).
L'uomo crea la famiglia, la donna la mantiene; l'uomo crea l'impresa, la donna sistema i documenti nell'archivio e gli pulisce la cattedra. Suona familiare? Di base, la concezione prevede che l'uno sia superiore all'altra, che uno sia importante, l'altra una "cazzata". E se chi esegue smette di eseguire, poi il capo a chi da gli ordini?
Anche questa volta la mia risposta viene tagliata quasi subito. Il suo commento: "va bene va bene, ho già capito tutto". Che cosa ha capito? Non volendo condividere con me le sue intuizioni da mago magò, andiamo avanti con la prossima domanda: "Ora, difetto e pregio". Gli faccio sapere che lavoro moltissimo, il che è anche un mio difetto perché spesso non riesco a ritagliarmi del tempo fuori dal lavoro. "Fermati qui, anche qui ti sei fregata lasciamo stare".
Atto terzo: la foto sul curriculum
Passa poi qualche minuto a spiegarmi come il ruolo a cui ho fatto domanda non è stato ancora ben definito, ma che arriveranno a dicembre due ragazze dall'estero e con loro nel team capirà come si svilupperà la posizione. Non ha molto altro da dirmi sul ruolo, ma aggiunge: "Per cui, visto che quando non sono interessato ad una persona non l'ascolto, mi faccia un compitino, mi mandi per email un proposal di cosa farebbe con la collezione nel nostro spazio". Mi concede di fare un'ultima domanda (la prima e l'ultima visto che fino a quel momento non mi è stata data la possibilità di fare alcuna domanda). "Entro quando vuole il proposal?". Ridendo risponde "beh veda lei, con calma se le viene in mente un'idea bene ci scriva insomma settimana prossima o entro il mese...ma mi raccomando non faccia passare troppo tempo perché sa bene che le persone si dimenticano in fretta i volti e lei, altro errore che ha fatto, non ha messo la foto sul suo curriculum". Per sdrammatizzare l'uscita, commento: "può considerarlo un CV all'inglese". Nel Regno Unito come nella maggior parte dei paese anglofoni si chiede espressamente al candidato di non porre foto sul proprio curriculum, d'altronde cosa importa che faccia abbiamo? Non dovrebbero importare solo le capacità, esperienza e voglia di imparare? Ma non per Paolo. Sono per metà di nazionalità inglese e lo mostro fieramente sul mio curriculum."Beh, a me gli inglesi stanno tutti sul cazzo", risponde Paolo, "e poi sono così presuntuosi".
Epilogo: il compitino a casa
Sono stata giudicata per la mia età, il mio voto di liceo e la mancanza del voto massimo in quest'ultimo, la mia esperienza lavorativa è stata derisa definendola una "cazzata" (una convinzione che solo chi ha avuto il privilegio di non lavorare come assistente di qualcuno può permettersi di avere), sono stata "capita" al volo nonostante mi è stato confessato che quel che avevo da dire non è stato ascoltato per mancanza di interesse nei miei confronti, sono stata classificata come una "esecutrice" in questa società con tutti i suoi attributi di inferiorità, la mia nazionalità è stata insultata classificando tutti gli inglesi, ed ergo pure io, persone che stanno "sul cazzo" e "presuntuosi". Tutto questo per un lavoro di pochi mesi in un'istituzione nella provincia di Treviso. Da dove nasce tutto questo senso di superiorità? E il paternalismo gratuito? Paolo mi ricorda molto i miei cari odiati professori del liceo, il cui piacere di umiliare e sminuire lo studente per i suoi voti o semplicemente per la sua persona erano generati da un proprio trauma adolescenziale che rivestono sulla nuova generazione. E mentre il resto del mondo va avanti e si rinnova, in Italia domina ancora la legge del più anziano, del capo che comanda, della gerarchia, del paternalismo, del tradizionalismo che fomenta l'odio verso il giovane, la crescente disoccupazione e la fuga di cervelli.
Mi è stata data una seconda chance: il compitino a casa, il proposal che potrebbe fare cambiare loro idea sulla mia persona. Questa falsa generosità che sempre più viene utilizzata da datori di lavoro come se, nel concedere un colloquio o nel dare un lavoro, stiano facendo un favore alla persona. Una proposta o un contratto di lavoro non sono un favore, neanche nel 2017 quando così tanti giovani laureati non riescono a trovare una posizione pagata. Un continuo sfruttamento, come negli anni 50 i giovani italiani scappavano in America per trovare lavoro (ricordatevi che anche noi siamo immigrati), e venivano sfruttati per qualche spicciolo in croce, ora i giovani acculturati sono diventati la manodopera che pur di aver un lavoro in Italia si farebbero insultare da un nessuno come Paolo.
Sai cosa? te lo puoi infilare su per il c**** il tuo bel compitino.
Cover illustration by Emma Darvick
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